Simposio Internazionale sull'Epilessie Miocloniche Progressive

Incontro con il professor Berge Minassian

 

 

Partecipanti:

dott.      Berge Minassian

dott.ssa Franceschetti

dott.      Pasquale Striano

dott.ssa  Julie Turnbull

Associazione Italiana Lafora

 

Relatore:

dott. Berge Minassian tradotto dalla dottoressa Silvana Franceschetti

 

 MC. Qual è lo stato attuale della ricerca e quali sono i progressi dallo scorso ottobre ad oggi?

 

Ci sono due linee di ricerca seguite dal laboratorio del dot. Minassian a riguardo della malattia di Lafora.

La prima è una linea di ricerca strategica e principale, volta a comprendere i meccanismi che causano la malattia di Lafora. Dal punto di vista della comunicazione alle famiglie dei malati attuali, occorre precisare che si tratta quindi di una strategia a medio - lungo termine, salvo colpi di fortuna che potrebbero accelerarne il passo. Quindi, questa linea di ricerca non è diretta a scoprire a breve termine nuovi possibili trattamenti, ma piuttosto a capire perché la malattia si genera, perché si formano i corpi di Lafora e se esista un meccanismo di malattia indipendente dalla formazione dei corpi di Lafora stessi.

La seconda è una linea di ricerca volta ad individuare "scorciatoie" per identificare qualche trattamento che possa convenientemente aiutare le persone che sono ammalate adesso.

Le due linee di ricerca sono contemporanee, ma occorre tenere conto che la linea strategica per la comprensione della malattia è una linea di ricerca a lungo termine per la quale oggi non sono facilmente ottenibili risultati che abbiano un ritorno terapeutico.

 

 MC. Quali sono i progressi circa le "scorciatoie" che potrebbero essere di aiuto ai malati attuali?

 

[Dr. Minassian Presenta la collaboratrice Julie prima di rispondere]:

Non conoscendo completamente i meccanismi di generazione della malattia, ogni tentativo di trovare una "scorciatoia" e di aggirare il problema (dovuto alla ancora incompleta conoscenza dei meccanismi di malattia) è un rischio. Ecco perché è molto importante la linea di ricerca principale che vuole spiegare la patogenesi della malattia. D’altra parte le nuove conoscenze che si accumulano possono  di volta in volta suggerire nuove possibili strategie di trattamento.

Una prima idea di trattamento della malattia si fonda sull'ipotesi che i corpi di Lafora ne siano la causa e quindi occorra distruggerli. Dal momento che i corpi di Lafora sono essenzialmente formati da amido, l'amilasi, un enzima normalmente presente nel nostro corpo, è in grado di attaccarli e distruggerli. Si dovrebbe quindi trovare un modo per far arrivare l'amilasi ai corpi di Lafora nel cervello.

Esiste, però anche una seconda ipotesi, ovvero che l'accumulo dei corpi di Lafora nei neuroni non sia la causa diretta dei sintomi della malattia, ma sia invece un effetto secondario dei veri meccanismi generatori. Quindi, la malattia potrebbe dipendere da qualcos'altro che provoca sia l'accumulo dei corpi di Lafora,  sia i sintomi neurologici. La presenza di tale seconda ipotesi sottolinea ulteriormente la necessità di cautela nell’ipotizzare vie di trattamento “a breve termine”.

 

Per quanto riguarda la prima ipotesi (corpi di Lafora come causa dei sintomi neurologici) occorre ricordare che l'amilasi è normalmente presente nel corpo umano solo nelle ghiandole salivari e nell'intestino, poiché serve per digerire gli amidi che sono contenuti nei cibi (pane, pasta, etc.). L'amilasi non è presente in nessuna altra parte del corpo umano e quindi nemmeno nel cervello che non ha normalmente bisogno di digerire gli amidi.

Nell’ambito della ricerca sulla malattia di Lafora è stato prodotto in laboratorio un topo manipolato geneticamente in grado di produrre l'amilasi nelle cellule celebrali. In tale modello l'amilasi può essere attivata all’interno dei neuroni per periodi di tempo limitati. Tale possibilità è basata sulla somministrazione di particolari sostanze per via orale, che attivano l’espressione della amilasi.

 E’ quindi possibile verificare gli effetti sul topo in diverse condizioni, aggiungendo alla sua dieta la sostanza attivante per periodi di tempo diversi: ad esempio un giorno, un mese, un anno. Al momento non vi è evidenza che l’amilasi prodotta nel topo geneticamente modificato sia dannosa per le cellule che la esprimono. I primi risultati indicano infatti che i topi stanno bene e non vengono uccisi dalla produzione di amilasi nel cervello..

L’amilasi prodotta è meno efficacie di quella salivare, che è un enzima potentissimo capace di sciogliere l'amido all'istante, ma ciò è probabilmente utile  poiché la distruzione massiva di tutti i corpi di Lafora potrebbe avere un impatto disastroso sulle cellule e indurre una mobilitazione di glicogeno eccessiva le cui conseguenze non si possono prevedere.

La preparazione in laboratorio di questo modello di topo e' stata molto complicata, ma potrà ora rendere possibile l’espressione dell'amilasi alle cellule celebrali, distruggere e diminuire i corpi di Lafora. A tal fine è però necessario preparare un altro modello di topo, utilizzando due diverse manipolazioni genetiche tali per cui possa generare nel medesimo animale sia l'amilasi cerebrale, sia i corpi di Lafora. La preparazione del modello di topo con la doppia mutazione richiede un incrocio fra i due gruppi di topi  ed occorrono però molte generazioni prima di giungere al modello di topo finale che presenta entrambe le mutazioni. Occorre inoltre ricordare che nel modello di  topo con i  corpi di Lafora,  la malattia si presenta dopo i primi 6 mesi di vita. Occorre quindi aspettare che il topo cresca a sufficienza per verificare gli effetti dell'amilasi prodotta nel cervello sui corpi di Lafora.

Sebbene il topo presenti già a 6 mesi i segni neuropatologici della malattia di Lafora, solo raramente manifesta crisi epilettiche prima dei 9 mesi di vita. Quindi, dopo aver verificato che l'amilasi elimini i corpi di Lafora nel cervello del topo di 6 mesi, il secondo passo sarà aspettare altri tre mesi per verificare che anche le crisi epilettiche appaiono nel topo con doppia mutazione meno frequenti rispetto al topo con la sola mutazione che porta alla produzione dei corpi di Lafora.

 

Occorre infine ricordare che esistono due diverse forme genetiche della malattia di Lafora: EPM2A e EPM2B. La mutazione più comune in Italia è EPM2B. Il modello di topo geneticamente modificato perché generasse i corpi di Lafora, presentava la mutazione EPM2A della malattia. Oggi, è in fase di preparazione anche il modello di topo affetto dalla variante EPM2B della malattia di Lafora.

Nei prossimi 9-10 mesi occorrerà osservare i topi con la doppia mutazione (che hanno la mutazione EPM2A) in attesa che esprimano i corpi di Lafora e le eventuali crisi epilettiche. Questo è un lavoro di per sé durissimo che richiede l'osservazione e la preparazione sul piano biomolecolare di moltissimi animali. Dopodiché occorrerà aspettare che anche i topi che non esprimono la malina (cioè che presentano la mutazione di tipo EPM2B) crescano abbastanza per iniziare lo stesso processo di studio già avviato con i topi che presentano la malattia EPM2A.

 

 Dott. Pasquale Striano: quanto tempo occorre per l'applicazione della cura al uomo, nel caso la sperimentazione dell'amilasi nel topo abbia successo?

 

Nell'ipotesi di un successo straordinario della ricerca sui topi, si potrebbe sottoporre la cura alla valutazione di un comitato etico, ma occorrerebbe comunque calibrare la cura in modo che sia applicabile nell'uomo e capire come introdurre l'amilasi nel cervello dell'uomo (che non può evidentemente essere geneticamente manipolato). In ogni caso prima bisogna capire se i corpi di Lafora sono effettivamente la causa della malattia e se distruggendoli si hanno dei miglioramenti. Se questo fosse vero, si dovrà trovare un farmaco, o meglio un vettore in grado di portare l'amilasi nel cervello dell'uomo.

 

Esistono alcune idee per portare nel cervello dell'uomo l'amilasi, ma richiedono ancora molto lavoro per essere messe a punto. Per questo è molto difficile decidere quante risorse dedicare a questo lavoro, dal momento che non si sa ancora se la presenza di amilasi cerebrale sarà efficace nel topo. 

Ad ogni modo, ci sono metodi per portare l'amilasi nell'uomo, uno di questi si basa sulla Tat. La Tat  è solitamente una componete virale alla quale si può attaccare una proteina che può raggiungere la struttura voluta, in questo caso il cervello. Questo metodo tuttavia potrebbe anche non funzionare, occorre ancora molto lavoro per verificarlo. Inoltre, visti i molti avanzamenti che ci sono stati, anche la terapia genica potrebbe offrire un modo per portare l'amilasi al cervello dell'uomo.

Inoltre, occorre far sì che l'amilasi rimanga attiva e presente nel cervello solo per il tempo necessario all'eliminazione dei corpi di Lafora. Infatti, i topi geneticamente modificati usati in laboratorio sono stati condizionati a produrre l'amilasi "a comando", cioè per tutto il tempo durante il quale vengono nutriti con un particolare alimento.

 

 membro AILA: Qual e' il tempo tecnico per l'applicazione all'uomo di una possibile cura risultante dalla "scorciatoia" amilasi?

 

Prima di tutto, occorre prima capire quali siano gli effetti dell'amilasi sul topo malato e verificare quindi che l'eliminazione dei corpi di Lafora serva effettivamente a migliorare le sue condizioni. Ammesso che tutto vada a buon fine, e le ipotesi siano confermate, rimane da trovare il vettore adeguato per portare l'amilasi al cervello dell'uomo. Questo potrebbe richiedere anni, poiché si dovrebbe ingegnerizzare un vettore particolare in grado, non solo di portare l'amilasi al cervello, ma anche di "spegnerla", affinché sia attiva per un periodo di tempo limitato e programmato. A questo punto si dovrà sottoporre la cura alla valutazione di un comitato etico prima di poter iniziare la sperimentazione sull'uomo.

Tutto sommato, per quanto riguarda la "scorciatoia" dell'amilasi, ci vorranno almeno due anni prima di poter sperimentare qualcosa sull'uomo.

 

 Vicepresidente AILA: Decentralizzare la ricerche avvalendosi di altri laboratori da coinvolgere nella messa a punto delle "scorciatoie" e permettere così al prof. Miniassian di concentrarsi sul percorso di ricerca principale, potrebbe velocizzare il lavoro per giungere ad una cura?

 

Sono tutti benvenuti, non ci sono segreti.

Ci sono problemi di tempo relativi alla sperimentazione stessa che non sono riducibili (si pensi ai tempi di riproduzione degli animali geneticamente modificati impiegati nella ricerca). I laboratori che preparano gli animali per la sperimentazione, sono dedicati ad un argomento molto specifico. Pertanto non è immaginabile appaltare ad altri la preparazione dei modelli. Un animale, geneticamente modificato per fini di ricerca, è un prodotto del laboratorio che già impiega il minor tempo possibile per ottenerlo. Bisogna considerare che il "buon esito della ricerca" è un investimento del ricercatore: qualcosa che, al di là dell'aspetto etico, emozionale e medico, è anche un successo personale per chiunque faccia ricerca che quindi spontaneamente ci mette il minor tempo possibile.

E' pur vero che esistono laboratori che possono occuparsi della gestione di colonie di animali, ma non possono certo fare ricerca al posto del laboratorio del professor Minassian, come, ad esempio, occuparsi dell'ingegnerizzazione del vettore per l'amilasi.

Il lavoro di ricerca è molto artigianale e non potrebbe che essere così, ovvero se non procedendo per piccoli passi giorno per giorno superando gli insuccessi e perseguendo i successi sulla base dei risultati progressivamente ottenuti. Ed in ogni caso, anche coinvolgendo centinaia di laboratori, questo non farebbe riprodurre i topi più velocemente.

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La linea principale di ricerca, ha mostrato che la riduzione di una particolare proteina, coinvolta nel metabolismo del glicogeno, fa in modo che il topo non generi più corpi di Lafora. Solitamente, tentare di inserire nell'organismo un gene funzionante è difficile, mentre  è relativamente più semplice diminuire la attività di un gene. La scoperta di questa proteina è molto recente. ora occorre, avviare nuovi esperimenti per accertare definitivamente il valore di questa scoperta e poi pensare a un modo che possa essere utilizzato per diminuire questa proteina nell'organismo del topo malato.

Quest'approccio, qualora ne fosse confermata l'efficacia, non necessiterebbe l'ingegnerizzazione di un vettore complesso, ma consentirebbe di somministrare il trattamento  in modo più semplice. Tale trattamento avrebbe un valore preventivo e dovrebbe essere somministrata ai pazienti in modo regolare e molto prima che si esprima a pieno la malattia. Non si può ancora dire, infatti, se questo tipo di cura sia in grado non solo di prevenire la formazione, ma anche di distruggere i corpi di Lafora già presenti, aiutando così anche i pazienti molto malati.

Questo risultato, ottenuto lungo il percorso di ricerca principale, mostra bene come il cercare di saltare certi passaggi in favore delle "scorciatoie" non serva. Infatti, la comprensione approfondita della malattia può aiutare a trovare strade alternative che possono essere anche più veloci e semplici delle "scorciatoie" attualmente ipotizzabili.

In conclusione questo è quello che si sta facendo per quanto riguarda le "scorciatoie". Il percorso di ricerca principale è molto complicato, ma in generale sappiate che si continua costantemente e con fiducia a fare esperimenti per capire la malattia e capiterà, una volta o l'altra, di trovare una nuova strada da seguire.

 

 

MC. Opportunità di continuare la dieta chetogenica.

 

A meno che non si tratti di bambini piccoli, una dieta chetogenica, anche non molto rigida, dovrebbe essere ben tollerata e per questo continuata. Il dottor Minassian ha l'impressione che le condizioni dei pazienti che ha trattato siano un pochino meglio di quelle che sarebbero potute essere se non si fossero sottoposti alla dieta. Tale osservazione è difficile da validare poiché la malattia ha decorso variabile per gravità nei diversi soggetti ed è rara. Non sono quindi perseguibili dei veri confronti fra popolazioni. Rimane una opportunità da valutare, tenendo anche conto del fatto che è ben tollerata.